domenica 11 giugno 2023

Un libro e i suoi segreti 4.


Un segreto: Michel

 

 Silvia forse non era interessata a una donna francese, anarchica, rivoluzionaria militante, impegnata nella politica e nella difesa dei diritti delle donne: Louise Michel (1830-1905). Per puro caso, il retro di uno dei frammenti dell'articolo dedicato alla morte di Panzacchi, riporta parte di una colonna incentrata su questo personaggio femminile. L'autore dell'articolo non guarda con simpatia alla Michel: in un contesto maschilista, cattolico e borghese, che altro potremmo aspettarci? Egli riporta, non senza macabra ironia, le ultime volontà della rivoluzionaria, che fu impegnata nella difesa della Comune, insieme al grande "esercito" rivoluzionario che cercò di difendere il diritto alla libertà e alla giustizia sociale, tra le bombe dei soldati di Napoleone III in una Parigi ormai prossima allo sventramento:

Le ultime volontà di Luisa Michel, portanti la data del 15 dicembre 1892, erano queste: "Non possedendo nulla al mondo, ad eccezione della pubblica considerazione, non posso far lascito che della mia carcassa (sic!il traduttore era di parte?)...Ordino che i miei occhi - queste pupille che brillano sempre per la libertà e mai per svanità frivole - siano strappati dalla loro orbita, pietrificati mediante processo chimico..."

e qui termina il frammento. Vorrei ancora ricordare che Luisa Michel, protofemminista, fu anche condannata alla detenzione nella colonia penale della Nuova Caledonia, per i suoi ideali. Speravano, forse, che venisse dimenticata? Illusione! Al suo ritorno, la attendevano migliaia di sostenitori e di amici. E anche vogliamo ricordare la fierezza e la modernità di questa Signora della Rivoluzione, che si batté anche affinché alle donne non fosse preclusa l'istruzione pari a quella dei maschi e che sperava in un mondo in cui la dignità per tutti non fosse solo utopia.

Un libro e i suoi segreti 3

Un fragile frammento di giornale

 Il dolce libro intitolato Dai nostri poeti viventi, pare inesauribile nel donare al lettore commoventi sorprese, come quella che ho scoperto dopo aver sfogliato altre pagine: si tratta di due ritagli di giornale dedicati al poeta Enrico Panzacchi. D'altronde, il titolo stesso del florilegio preannunzia una raccolta di poesie di autori coevi al donatore e alla ragazza che lo ricevette. E' in corrispondenza di due pagine che racchiudono le poesie intitolate Funerali di Nerone e, di tutt'altro argomento, Visita in villa.

Ebbene, Panzacchi mi ha sorpresa con i componimenti qui raccolti; quello intitolato I funerali di Nerone, dove l'immagine del cadavere che attira i corvi è macabra senz'ombra di dubbio, è ambigua riguardo l'immagine che il poeta aveva riguardo Nerone. Lontano dai pregiudizi,  e alessandrino quanto basta per concentrarsi su dettagli inattesi delle esequie, si concentra sulla figura di Atte, amante dell'imperatore, e di due vecchie nutrici: queste donne piangono sulle spoglie del defunto, mentre il popolo festeggia con parole piene d'odio la morte dell'esecrato tiranno. La poesia Visita in villa pare un contrasto tra la percezione del luogo fiorito secondo il poeta - memore, evidentemente, dell'amore passato  - e la prospettiva pratica e utilitaristica dell'ex amante, la quale ragiona da massaia perfetta e parla tranquillamente di quanto le costa, in tasse, quella villa, con le aiuole coltivate ma poco remunetratrici. E i ricordi del passato evocano il vecchio tempo e i vecchi amici, senza alcuna emozione, laddove il poeta cerca invano di risvegliare in lei un'ombra di ciò che erano stati, alludendo a usignoli, a una romanza che era solita interpretare al pianoforte, trascurato ormai danni, e con tasti rotti. Così, il poeta si domanda chi avesse amato, un tempo: era proprio quella, con l'occhio così calmo e riposato, la donna di cui aveva baciato il volto gentilmente obeso?

I ritagli di giornale riportano la notizia della morte di Panzacchi, pertanto il quotidiano risale all'ottobre 1904 (stessa data della dedica sul frontespizio del libro); l'autore dell'articolo è poco propenso a celebrare il poeta, in particolare per le sue posizioni politiche:

Come uomo politico anche fu lontano da noi e non poche cose e non poche manifestazioni gli dovremmo rimproverare.

Gli si rimproverano anche una certa tendenza a scollacciature e irriverenze che in nessun modo possono accettarsi e difendersi.

L'autore dell'articolo deplora, inoltre, l'indifferenza verso la religione, e questo ci fa capire quale fosse la tendenza politica di quel giornale, che era forse Il Secolo XIX, in considerazione che sulla dedica leggiamo: Genova, 11 novembre 1904.

Sul retro del frammento di giornale, un ritratto del Panzacchi, a china, siglato con la lettera G

Un altro frammento riporta una poesia intitolala La neve. Non senza ironia, l'autore mostra di apprezzare il componimento, ma rimarca il proprio giudizio critico: Per una volta tanto, eh? una bella poesia del Panzacchi. 


Non poteva piacere a tutti: politicamente era orientato verso il liberalismo moderato e rigorosamente monarchico, contrario alle idee reazionarie o rivoluzionarie. Tuttavia, come docente universitario e sottosegretario all'Istruzione, si fece portavoce di importanti innovazioni: promosse la scuola laica e chiedeva che i docenti di Lettere insegnassero anche Storia dell'Arte: ciò che a molti non andava a genio (avrebbero dovuto prepararsi, aggiornarsi...insomma, studiare! Dubito che, allora, la maggior parte degli insegnanti avesse idea di quanto ancora avrebbero potuto o dovuto imparare, dubito anche dell'umiltà di molti tra loro).

Un libro e i suoi segreti

 Proseguo il nostro viaggio attraverso il tempo, in compagnia del donatore del florilegio Dai nostri poeti viventi. Man mano che il volumetto viene sfogliato, facendo scivolare tra le dita le pagine un po' gualcite ma ancora profumate come alcune antiche carte di ottima qualità, si scopre, inatteso, un vero miracolo color pervinca, trasparente come ali di farfalla: un fiore disseccato. E' a metà del volume, in corrispondenza di una Poesia di Ada Negri, intitolata Largo!, composta da strofi saffiche. Forse un segnalibro? Forse deposto lì per caso? Credo di no: un singolo fiore messo a seccare tra le pagine di un libro è per lo più il ricordo di un momento romantico e caro. E' un fiore di campo.

sabato 10 giugno 2023

Tartarughe

 

Tartaruga 1. Un racconto di Grazia Deledda è intitolato La tartaruga. Lo leggi e senti il cuore che si sgretola, che piange. Grazia Deledda descrive il comportamento di tanti animaletti, soprattutto gatti, che sicuramente amava molto; nei "suoi" gatti, riconosciamo gli atteggiamenti dei nostri gatti, e magari anche altri comportamenti a cui non avevamo fatto caso. E qui, è delicata e terribile ma anche piena di amore la vicenda che lega una donna (una delle centinaia di donne mirabilmente tratteggiate dalla Scrittrice) a una tartaruga di terra, l'unica creatura che sembra provare affetto o pietà.

Si rimise le scarpe e, con le in un fazzoletto, scivolò giù per le lunghe scale, passando a occhi chiusi davanti a quella porta: trovò il modo di uscire inosservata e camminò ancora, a lungo, attraversando come in sogno la città notturna, ardente dei colori dell'arcobaleno; finché arrivò agli orti fuori le mura, dove Dio parlava ancora, con la voce solitaria dell'acqua corrente.

Tartaruga 2. Quasi non occorre dire che D'Annunzio non provava alcun sentimento di simpatia o pietà verso la tartaruga che appare nel romanzo Il trionfo della morte. Giorgio Aurispa la osserva con indifferenza, se non con disgusto. Presa a calci dal padre del superuomo Aurispa, assimilata a un ambiente degradato e "nauseoso" olfattivamente, di quella povera creatura si evidenziano l'età e, più avanti, i tratti caratteristici, ingiustamente rappresentati come qualcosa di mostruoso. D'Annunzio non amava le tartarughe, e ciò traspare dal lessico, molto chiaramente.

Tartaruga 3. Prendiamo ora il romanzo A ritroso di Huysmans. La povera tartaruga acquistata dal protagonista Des Esseintes è collocata in uno degli innumerevoli salotti della sua casa, destinata a diventare una sorta di gioiello bizantineggiante, estremamente prezioso e di grandi dimensioni. Il giovane esteta fa incastonare sul dorso dell'infelice tartaruga un gran numero di pietre preziose. Poi la depone sul tappeto, dove la povera creatura è a disagio, non riesce a muoversi, e inizia a perdere vitalità , fino a morire. Considerazione a margine della storia: non credo che Huysmans avesse una spiccata sensibilità verso le tartarughe. Mi pare che, anche in questo caso, lo scrittore possa tranquillamente sovrapporsi al suo personaggio (coltissimo e annoiato dalla vita) suo alter ego. Ho saputo che qualcuno ha compiuto realmente un simile atto di crudeltà





E. Montale, Gloria del disteso mezzogiorno

 Coinvolgente e attuale.

È l'ora più calda, quando il sole sembra distendere le sue ali e avvolgere in una luce implacabile ogni cosa; i rivi inariditi, nessuna traccia d'ombra, i raggi ardenti rivelano, sotto le "parvenze, falbe", la realtà autentica, il nulla, il non-essere, l'illusorietà di ogni cosa e -quindi- rappresentano per il poeta la chiave per aprire il varco, e sollevare il velo della menzogna, dell'inganno della natura.
E intanto, il Martin pescatore sorvola indifferente una reliquia su una spiaggia: forse un osso di seppia gettato lì dalle onde; alto nel cielo e distaccato, il Martin Pescatore ignora quei resti abbandonati sulla sabbia. Verrà la luce calma e dorata del tramonto, verrà l'ora tanto attesa che svelerà i suoi raggi, e tuttavia non permetterà allo sguardo di oltrepassare un ostacolo: un muro. La pioggia, tanto desiderata, arriverà finalmente a vivificare il terreno arido: ma il piacere più grande è nell'attesa, nel desiderio, finché non diventa realtà.

Il giallo dei Limoni



Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni

 (Da E.Montale, I limoni)

Quanto mistero e quanta speranza in quel malchiuso portone, e in quella corte alberata!

Voglio dare la mia interpretazione di questi versi, attraverso altri versi:
Aprire a poco a poco lo spirito
che sfugge al nostro sguardo
severo, cercare tracce dimenticate
del bene luminoso che riposa in noi,
ignorato. L'incontro con la speranza
non è piu'così lontano.

Aurora borealis

 

Freme l'Aurora e danza

L'Aurora è folle e tremante.

Fuggente per il grande freddo,
come una fata verde, nascosta,
imprigionata per anni
e poi liberata dalla sua prigione di vetro.
Si espande, stupisce, si libra
come un'inquieta/inquietante
anima, o farfalla verde.


Verde Aurora

Verde
Verde come bagliori
di gioielli orientali.
Verde come la fata danzante
Sui cieli del gelido e amato
Cielo del nord
Verde come nell'immaginario
Dei bimbi, i prati
E come nelle canzoni
Le colline.
Verde splendente
Verde trasparente
Verde attraente
Verde dominante:
Sinestesie decadenti.
Verde senza rimorsi.
Verde come parole di poeti
Verde come i sogni,
Le allucinazioni,
I sentimenti improbabili,
La cara erba alimento e vita
Per gli animaletti innocenti.
Verde come la speranza
Ingannata, insultata:
Esistenza buttata!
verde come essenze trasparenti
Liquide e balenanti
Nell'incerta poesia: timide parole
Si dissolvono nell'acqua
Di uno stagno insignificante
In mezzo a quattro sassi e
Ad alberi, rami in croce
Spogli.

La fata

La fata se ne è andata,
Sfuggendo silenziosa dalla trasparenza
Fragile, allo sguardo,
Al cielo venato di viola,
il colore del ricordo.
Ma il cielo è cristallo, e danza
Come una creatura dei boschi.
La fata ritornerà, virente
creatura silvana.
La fata non perde la strada:
Il cielo è la sua dimora,
Il cielo è il luogo in cui danza,
Verde come uno smeraldo,
Brillante di gioia,
Trasparente come uno sguardo
Sospira la speranza del ritorno.
Tutte le reazioni:
Guido De Marchi e Gabriella Accatino

Leopardi e la carta dei libri

 nei libri di testo dovrebbero esserci meno immagini e, soprattutto, niente carta patinata: pesantissima, soprattutto per libri di cinquecento pagine e più, delle quali se ne usano forse un centinaio, se si usano. La carta patinata, sotto la luce artificiale, rende difficoltosa la lettura perchè, come tutti sapranno, produce un fastidioso riflesso. Ma è pur vero che questi libri sembrano fatti per non essere letti e tanto meno studiati, solo "trasportati" a scuola. le antologie di letteratura italiana sono dei mattoni: sebbene siano divise in più tomi, ciascuno di essi è un ingombro e un peso eccessivo. Se sfogliamo e leggiamo "a campione" le pagine di commento ai tresti, ci accorgiamo immediatamente della ridondanza, dell'eccesso, della superfluità e ripetitività. Spesso, anzichè porsi l'obiettivo di farsi comprendere, gli autori sembrano voler fare sfoggio di sapienza e di frasi d'effetto.

Vorrei soffermarmi un attimo sul Camera-Fabietti dei primi anni Settanta. Negli anni Ottanta, riuscii ad averne una copia. Era un volumetto essenziale, lo avresti infilato anche in borsetta. Il medesimo testo scolastico, alla fine degli anni Ottanta, era diventato enorme, quadruplicato di peso. E poi ci chiediamo perché i ragazzi non portano tutti i libri? Avete idea di quanti ne dovrebbero mettere nello zaino, ogni mattina, e che capienza dovrebbe avere lo zaino?

Persino Leopardi aveva notato come alcuni tipi di carta, innovativa ai suoi tempi, rendesse difficoltosa e pesante la lettura. Per tutti è chiaro, penso, che i libri hanno troppe pagine, che per lo più non verranno usate, e tutto ciò in nome del poter scegliere ciò che più aggrada, ciò che appare più idoneo e "fruibile" (brutta parola, ma rende l'idea). E invece dovrebbero esserci passi di autori, intendo dire di classici, imprescindibili a formare un percorso di vero e non apparente apprendimento; e dovrebbero essere ammessi solo alcuni autori dei giorni nostri, ma di grande e sicuro valore (linguaggio e messaggio), autori, insomma, da imparare oltre che da leggere.

Tutte le reazioni:
Roberto Accatino

Baglioni, Leopardi, la "diletta Luna"

 

Come è possibile un collegamento tra questa o altre canzoni degli anni Settanta e la poesia "Alla luna" di Leopardi? Ebbene, non so quanti preferiscano i vecchi e romanticissimi brani di Baglioni (quelli che hanno fatto sognare durante la prima adolescenza le ragazzine di allora) a quelle molto più recenti. Personalmente, poiché apprezzo quella semplicità ed anche ingenuità, con la quale nei primi tempi egli si proponeva, senza dubbio prediligo quelle canzoni. Tra i ricordi, una trasmissione televisiva, in bianco e nero ovviamente, di cui purtroppo non ricordo il titolo, dove si raccontava la storia di un giovanissimo (Baglioni, appunto) con gli incontri, le cotte, le delusioni, il rapporto con gli amici, il militare... il tutto scandito dalle canzoni dell'album "Questo piccolo grande amore". Ero piccola, ma ricordo perfettamente la canzone che mi colpì di più: "Una faccia pulita", che merita l'ascolto, a mio avviso, perché è un piccolo capolavoro. Perché spesso preferiamo quelle canzoni? Perché l'età era piena di sogni e speranze, poi solitamente disattese. Basta una nota ascoltata per caso, e la nostra mente va ad approdare a quei tempi, e ricordiamo, forse, un periodo spensierato e giocoso. Ma era proprio così, quando l'abbiamo vissuto? Per molti lo è stato, ma per molti non lo è stato affatto. Dunque, che cosa accomuna quelle canzoni e i nostri ricordi alla poesia Alla luna? Il fatto che se, noi come Leopardi, rivolgiamo la mente ad un tempo lontano, come dicevo, ne avremo (forse) nostalgia, anche se il periodo non fu affatto felice. Leopardi, mentre guardava alla luna, e con essa dialogava confidenzialmente, la vede un po' velata, come se davanti ad essa trascorressero delle nubi: in realtà sono le lacrime, a velare i suoi occhi. Ebbene, egli ricorda che anche l'anno prima l'amica Luna, interlocutrice privilegiata e compagna della sua solitudine, gli appariva con lo stesso aspetto, perché anche allora i suoi occhi erano pieni di lacrime. Eppure - egli dice - il passato e la memoria esercitano nei giovani un inspiegabile fascino:

Oh come grato occorre (...)il rimembrar delle passate cose

Attraverso la lente del ricordo, della ricordanza, attraverso il noverar le cose ad una ad una illusoriamente il passato appare al poeta più felice del presente, anche se pure allora il volto lunare gli appariva incerto, attraverso le lacrime.

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, nè cangia stile,
O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!

 Guido Gozzano, ne L'amica di Nonna Speranza, ci fa sognare l'incanto dell'adolescenza, nel 1850 come oggi. Due fanciulle diciassettenni, Speranza e Carlotta (l'amica di nonna Speranza, appunto) sono rientrate da poco dal collegio, dall'ambiente un po' severo, dove hanno sostenuto l'esame piu' egregio di tutta la classe, un grande motivo di ansia per loro, un affanno passato terribile, ma una grande soddisfazione per i loro genitori. Sono accolte dalla famiglia di Speranza, che le festeggia; trascorreranno qualche giorno insieme, e poi Carlotta raggiungerà la propria famiglia. Un'occasione di divertimento per le due ragazzine che iniziano a sentirsi "grandi". Per l'arrivo di Speranza e Carlotta, sono stati invitati gli zii, molto dabbene, lo zio, infatti, è fedele alle tradizioni e all'imperatore. I fratellini irrompono in sala, tra i dolci in bella mostra (immaginiamo biscotti, confetti, gelatine di frutta) e i genitori sono costretti ad allontanarli, per evitare che con quelle manine possano scompaginare i dolci in bell'ordine. Senonché, anche le due ragazze diciassettenni, con molta discrezione e con una fare un po' misterioso, vengono mandate a giocare in giardino, dove potranno divertirsi con il volano. I genitori e gli zii, infatti, oltre a discutere di politica, fanno qualche pettegolezzo su Vittorio Emanuele II, al quale, si dice, piacciono molto le donne. Il discorso è sconveniente, ed è bene che Carlotta e Speranza non ascoltino. Le due ragazze sono già in giardino, a giocare spensierate col volano, che ad un certo punto non riescono più a recuperare. Ed ecco che iniziano a raccontarsi i loro giovani amori, i loro bei sogni trilustri. Intanto la sera avanza, si inizia a intravvedere la pallida luna nel cielo ancora azzurro (è il far dell'estate). Le ragazze, sognanti, si sentono protagoniste di una romantica storia d'amore, dove il principe azzurro è un giovane militare dal sorriso affascinante. Così, con la luna che si rispecchia nel lago e le stelle che si aprono ad una ad una, le ragazze continuano a narrarsi il loro bel sogno, tra i ricordi delle letture segrete in collegio. Penso che Speranza e Carlotta siano rimaste amiche per sempre; Speranza conservò il dagherrotipo di Carlotta, che Guido Gozzano poté ammirare, non senza una delicata malinconia, circa cinquant'anni dopo. Lei sembra ritratta in un cantico, ha un'espressione pensosa e dolce.E' la sola, dice il Poeta, che potrebbe amare, amare d'amore.


Zola, Parigi 2

 Da E. Zola, Parigi 2

Il protagonista, Pietro, con il fratello Guglielmo, gira per il centro della Parigi notturna. Vi prego di leggere la descrizione (con pochi tratti essenziali) della chiesa, "ostinata e caparbia"; avrei aggiunto e sottolineato, oltre all'altezzosità di questo edificio enorme e assurdamente incombente, anche il fatto che fosse sorta sfacciatamente non distante da strade popolate da gente poverissima, che letteralmente moriva di fame, o in un angolo di una stanza fetida, sulla paglia sporca. Osservate che la miseria si contrappone allo sfarzo e al denaro infinito, speso per costruire tale mostruosità. Quanta gente avrebbero potuto aiutare? No, come al solito, con qualche patetica scusa tratta da libri da contestualizzare, la miseria AUTENTICA era pressoché ignorata dalla chiesa, esattamente come oggi. Non dimentichiamo che Zola, nei romanzi "Le tre città " è un vero e proprio cronista, che si basa sullo studio dei casi e sull'osservazione.







E. Zola, Parigi

 Zola e la Basilica del Sacro cuore

E.Zola, Parigi. Considerazione sul dettaglio del cosiddetto "sacro cuore". Un oggetto da aula di anatomia, con le sue arterie recise. Avevo letto la storia di Maria Alacoque, e devo dire che mi aveva scioccata, non solo per le scene splatter, ma anche per certi episodi narrati, che parevano fatti apposta per suscitare disgusto. Non mi piace Maria Alacoque. Queste donne erano isteriche ed avevano disturbi alimentari, che trascinavano verso la follia, come denotano certi comportamenti estremi, messi in risalto dall'agiografia, quasi fossero meritevoli. Meritevoli? Erano puro segno di pazzia di gente a lungo plagiata, sottratta alla femminilità e ad una vita normale e sana. Queste donne, e i loro, diciamo, "superiori", sfoggiavano con vanteria queste prodezze, le incoraggiavano e le lodavanp. La gente semplice e sempliciotta (non solo nel passato ma, ahimè, anche oggi) riescono tutt'ora ad apprezzare questi comportamenti malati.



FEMMINILITA'

 La donna ha sempre una sua unica e rara dignità

È nella memoria, negli affetti,
Nell'insostituibilita'.
La donna ha la forza di sorridere, abbracciare
Truccarsi e colorate
I capelli, come nulla fosse.
Si guarda allo specchio,
Come guarda un fiore
Ma il fiore è un discorso amato,
Una parola di consapevole bellezza.
Se stessa
Allo specchio è perplessità,
ma accetta la benevolenza
E la con - passione, l'humanitas...
E molto altro.
La donna può soffrire.
Vede virgulti acerbi e già appassiti.
Se ne duole.
L'indifferenza è il suo cruccio,
incredulità la sua storia.

domenica 4 giugno 2023

 

Un libro e i suoi segreti


 

La copertina di questo volume scricchiola, sotto le dita, come fosse pergamena, e della pergamena ha le dorate cromie. Tra le foglie del rampicante che la decora,  qualche frutto rosato. Piccoli melograni? I colori sono ancora vividi, e i tralci del rampicante si intrecciano e annodano in volute, che si replicano attorno alle lettere iniziali di alcune parole sulla copertina: D, E, L.
In basso, il nome dell'autrice di questo florilegio:
EUGENIA LEVI.

È un libro che mi ha riservato sorprese e, forse, narrato lontani segreti.

Ma procediamo con calma, perché è così che possiamo godere dei nostri libri e-talvolta- scoprire racconti non scritti, che si rivelano pagina dopo pagina.

Una piccola ma elegante etichetta d'epoca, ci racconta che il libro fu acquistato a Torino nel 1904, in una libreria che corrisponde a un noto editore. 

Dalla dedica possiamo dedurre che si tratta del dono destinato a una giovane di nome Silvia, "allieva fidente". Immagino, dunque, che l'autore sia un professore che desidera donare alla propria alunna una corona di "fiori poetici" (parliamo infatti di un florilegio) che ella potrà idealmente indossare nei momenti in cui si sentirà triste o sola. Poesie che, nel cuore e nei ricordi della giovane donna, si trasformeranno in altrettanti  fiori. 

È una nota un po' dolorosa questa evocazione di futuri "momenti di tristezza", mentre si dona una raccolta di poesie; il seguito della frase sembrerebbe tuttavia giustificarla, poiché la giovane è destinata ad intraprendere una "pietosa ... missione"; ma non sappiamo di piu'.


Una bella classetta (racconto)

  Una bella classetta tutta di femmine Dai tempi dell'asilo sino al termine della scuola media, Agata dovette frequentare una scuola di...