martedì 29 novembre 2022

 


Artemisia Gentileschi, paladina delle donne maltrattate

Artemisia Gentileschi, vittima piena di coraggio, due volte vittima, due volte violata e torturata: dall'infame Tassi e dagli infami giudici che la torturarono perché aveva osato contrastare quello che sembrava un "diritto" maschile: la vile sopraffazione delle donne. Il fatto è che anche oggi la donna che si reca, ad esempio, a denunciare, non sempre viene creduta, e le sue ragioni, le sue spiegazioni sono sottovalutate.. Sono ancora troppi coloro che pensano "qualcosa avrà pur fatto...". E le urla di una donna maltrattata non vengono ascoltate, né per strada né all'interno di un condominio, perché la gente non si vuole esporre, vuole farsi i fatti propri. E c'è ancora tanta gente, persino donne, che giudicano l'abbigliamento femminile e magari dicono che se l'è andata a cercare. Ma Artemisia è un esempio per tutte le donne: almeno simbolicamente, non ha permesso che la violenza restasse nascosta. In questo dipinto che rappresenta "Susanna e i vecchioni", quei due odiosi ricattatori, Artemisia racconta di se stessa. Ma sembra anticipare che non sarebbe finita lì. A costo di essere criticata, odiata da uomini e donne, e torturata nel corpo e nell'anima

 

      Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni

                                                                                        Artemisia Gentileschi, Giuditta e Oloferne


 

Un comò con tante teste...

Qui ero proprio piccola. Il cerchietto era rosa, di pannolenci. Adoravo il comò con i pomoli a forma di testa umana. Ogni testa era diversa, e così pure le barbe, i nasi, i copricapi. Mi piaceva fingere di essere la parrucchiera di questi signori, e lavare loro i capelli. Adoravo il pomolo con la testa calva, perché era il più liscio. Mi piacevano meno i pomoli con il turbante a pieghe.
Ogni volta che rivedo questa immagine, la mia mente si riempie di profumi e di una canzone da ricordare. Un ricordo ne richiama un altro, come corrispondenze senza fine, un gioco di specchi. Il legno nero profumava di tabacco, la camera profumava di libri, e di meravigliose essenze resinose. Mi vengono in mente i chewing-gum al gusto Pernod, stagnola in carta gialla. Pernod richiama Hemingway, e Fiesta era, appunto, uno dei libri presenti sul piano del comò. Mi viene in mente la superficie liscia e fredda di un bellissimo accendino di acciaio. La voce della foto è una canzone di Adriano Celentano: Azzurro. Un azzurro fresco e limpido, e, appena fuori, il sole. Un vasto scenario: quella parte di Genova che si vede da oltre Brignole, salendo verso via Peschiera. Dove altri mille ricordi mi accompagnano.


domenica 6 novembre 2022


 Edmondo De Amicis intervista Emile Zola. 1.

E' straordinario questo libro, di cui vedete il frontespizio. Rilegato con la variopinta carta che contraddistingue le seconde rilegature, racchiude le interviste di De Amicis a romanzieri francesi del suo tempo. E' un'edizione Treves del 1881, anno in cui Zola era estremamente attivo e iniziava a pianificare Il Paradiso delle Signore.

Questo libro mi ha dato molto, consentendomi di contemplare il mio autore favorito nella comodità della sua casa parigina, tra ninnoli belli e costosi, tra cui i suoi netsuke, molto di moda in quegli anni nelle case altoborghesi, abitate da persone amanti del bello, dell'antico, dell'esotico. 


De Amicis lo chiama "principe dei veristi" e cita la saga dei Rougon-Maquart; tutto ciò dal vivo e nei tempi giusti, ossia negli anni in cui Verga  pubblicava i suoi Malavoglia, smantellando la struttura tradizionale del romanzo e nascondendosi con cura dietro ai personaggi che lascia parlare a volontà, salvo poi scontrarsi con l'incomprensione da parte del suo pubblico.

I Rougon-Maquart sono effettivamente un immenso affresco che si snoda tra gli inizi e la fine dell'Ottocento, è il ritratto di una vasta e complicata famiglia, tanto che, molto provvidenzialmente, Zola fornisce al lettore l'albero genealogico in cui collocare i personaggi, man mano che leggiamo i libri. E davvero c'è bisogno di consultare l'albero in questione, in quanto, affinché l'opera di Zola raggiunga il suo scopo, noi dobbiamo scoprire come avviene che le tare ereditarie passino silenti da una generazione all'altra,  per poi esplodere in una o in un'altra forma. E, soprattutto, dobbiamo tenere a mente le parentele naturali o acquisite, le discendenze, le affinità tra personaggi lontani nel tempo e nello spazio. Talvolta ciò è molto complesso, i legami familiari sono effettivamente labili e il teorema zoliano appare un po' forzato.



 Storia di un braccialetto carino.

Molti anni fa - andavo alle elementari - durante le vacanze estive, in luglio, andai a Firenze con mio fratello. Fu quello il più bel viaggio della mia vita. La sera prima aveva piovuto a dirotto, con tuoni, lampi...un temporale estivo pascoliano,ma di lunga durata. La terza puntata della"Odissea" era stata interrotta poco dopo la presentazione di Ungaretti. Avevo tanta paura di non partire, perché quello era il mio primo viaggio. E invece partimmo, al mattino presto, e con la pioggia , che si diradava entrando in Toscana. Anche allora, si sostava a Pisa per il cambio. Non riesco a descrivere che cosa sentissi allora nel cuore, ma posso immaginare l'ansia di arrivare. E quando finalmente raggiungemmo Firenze, andammo a mangiare una trattoria che chiaramente non esiste più, e si chiamava "Marione". Mio fratello prese la ribollita e il polpo affogato. Io mi ricordo delle patate fritte assai buone, ma con tanto pepe, a cui non ero abituata. In albergo ci servirono delle ottime banane fritte, e lo straordinario "gelato caldo", delizia ossimorica. E quante strade, chiese, affreschi, musei, piazze e statue in quelli che furono solo tre giorni di vacanza. Le chiese mi facevano molta paura, per le tombe sotto il pavimento. Cercavo di non guardare teschi e tibie e altri rilievi molto levigati dal tempo; camminavo lungo gli stretti spazi tra tomba e tomba. Oltre a queste macabre presenze in Santa Croce, notai che, sugli scranni di Lugano scuro del presbiterio di S.Maria Novella, vi erano scolpiti, in rilievo, altri crani: uno per ciascun domenicano assiso al proprio posto. In quei giorni scoprii quanto mi piacessero le altezze, possibilmente vertiginose. Fui felice di salire gli innumerevoli gradini del Campanile di Giotto, e di trovarmi, poi, dalla balaustra da cui vedevo, lontano lontano, il via vai di personcine piccole piccole. C'erano molti preti , e noi li chiamavano "bagoni". Chi è di Genova dovrebbe conoscere il significato del termine. Anche a Santa Maria del Fiore ebbi modo di sfogare il mio desiderio di salire scale e scale....
Più tardi, mio fratello mi comprò un'orzata al latte, che era in un altissimo calice... E intanto, lungo l'Arno, c'era tanto sole. La domenica mattina, prima di partire per Siena, passammo al mercato, e mio fratello mi regalò un leggerissimo scialletto verdolino, di una lana sottilissima. E, lungo l'Arno, sul Ponte Vecchio, mi comprò il bracciale che vedete. Per me, è il più bello del mondo.


Una bella classetta (racconto)

  Una bella classetta tutta di femmine Dai tempi dell'asilo sino al termine della scuola media, Agata dovette frequentare una scuola di...