3era lo strillo della procellaria,
ch’ama li scogli soli, gli uragani
inascoltati. O forse (era di bimbi
6quasi un guaire?), o forse di gabbiani.
Un suono s’alza qua e là di limbi
queruli nell’estrema ombra inaccessa:
9sono i gabbiani; dicono. O colimbi
forse? o la skua? Forse la skua. Quand’essa
svola sui ghiacci, esce da mille nidi
12un pianto acuto; chè, con lei, s’appressa
la morte. O vani, muti, intimi gridi
tuoi, del tuo cuore...? Udiva anche il gabbiere,
15
non era Andrèe. Centauro alla cui corsa
la nube è fango e il vano vento è suolo,
22egli volava verso la Grande Orsa.
E l’alche prima videro il suo volo;
poi più nessuno; sì che al fin non c’era
25che il suo gran cuore che battea sul polo.
Però ch’ei giunse al lembo della sera,
e su l’immoto culmine polare
28stette, come su rupe aquila nera.
Ardea la stella pendula del mare,
lampada eterna, sopra la sua testa,
31e pareva nell’alta ombra oscillare.
Vide in suo cuore fissi egli, da questa
onda e da quella d’ogni mar selvaggio,
34di tra la calma, di tra la tempesta,
oh! mille e mille e mille occhi, nel raggio
che ardeva a lui sul capo; ed, in un punto,
37a quelli occhi che vide in un miraggio
subito, immenso, annunziò: Son giunto!
André è solo, come un Centauro, come un Titano, come l'Ulisse di Dante; ma non vuole ritornare al mondo. L'aquila, la tempesta, la stella che arde, eternamente accesa, sul suo capo, fanno emergere nel moderno eroe l'eroe romantico che sfida il mistero dell'infinito: trionfatore sull'impossibile e sull'inarrivabile, può esclamare, Son giunto!
Allor, sott’esso, grave sonò l’inno
degl’iperborei sacri cigni: un lento,
41interrotto, d’ignote arpe tintinno;
un rintocco lontano, ermo, tra il vento,
di campane; un serrarsi arduo di porte
44grandi, con chiaro clangere d’argento.
Nè mai quel canto risonò più forte
e più soave. Dissero che intorno
47sola, pura, infinita era la morte.
Poi, il canto dei cigni, un suono cristallino d'arpa, e un clangore di metallo, di campane, di porte che si chiudono, evidentemente per sempre, per l'eroe. Come non ripensare alle "porte invisibili" de L'Assiuolo, che recano in una dimensione altra, vicina ma intangibile? Immaginiamo, dunque, un suono di ghiaccio, di onde gelate, di vento, e lo stridio di uccelli marini. Finalmente, Andrée entra in contatto con l'infinito, con la morte, contro la quale, ancora, sembra ergersi, con slancio di superuomo, di uomo alato, insofferente verso i limiti spaziotemporali dell'uomo comune. L'altezza sovrumana, la solitudine assoluta gli fa percepire la propria grandezza, ed egli si sente Dio. Come, tale, immortale: tra i suoni che si spengono e la stella, lampada di tomba, che si accende, la morte silenziosa e solitaria scende sul grande vichingo.
E venne, all’uomo alato, odio del giorno
che sorge e cade, venne odio del vano
50andare ch’ama il garrulo ritorno.
Egli era in alto, al colmo: era l’umano
fato a’ suoi piedi. Andrèe si sentì solo,
53si sentì grande, si sentì sovrano,
Dio! Già moriva l’inno dello stuolo
sacro in un canto tremulo di tromba.
56Poi fu silenzio. L’astro ardea sul polo,
come solinga lampada di tomba.
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