giovedì 5 gennaio 2023

 Il sabato del villaggio, la Vigilia e il Natale

Come al solito, vi domanderete il legame che sussiste tra il titolo della poesia da tutti noi studiata sin dalle elementari, quando non comprendevamo il significato e neppure ce lo spiegavano, e la Vigilia di Natale, nonché il Natale, il giorno più desiderato e sognato da tutti i bambini e non solo, per tutto l'anno. 

Il Sabato del villaggio mette in luce la speranza di felicità vissuta dagli abitanti di un paesino nel tardo pomeriggio del sabato, si presume un sabato estivo, quando i più giovani sognano la festa e le danze che li attendono, mentre i lavoratori cercano di sbrigare le ultime incombenze per godersi la giornata festiva. Nell'attesa di una felicità destinata a spegnersi non appena sembrerà raggiunta, solo nell'attesa di un compimento che non avverrà mai, ci avverte Leopardi, i mortali intravvedono gioia e divertimento: insomma, quella che si definisce, appunto, felicità.

All'interno della metafora del sabato come annuncio o speranza di attingere alla felicità - speranza nella quale l'individuo percepisce quasi il raggiungimento della medesima, e un'ansia quasi piacevole, viene scambiata e si confonde con la gioia, Leopardi includeva se stesso come individuo desideroso del piacere, pieno di quelle speranze, alimentate nella giovinezza, sempre disattese. La sua produzione poetica è piena di riferimenti alla speranza (Ultimo Canto di Saffo, La sera del dì di festa, Alla luna, Le ricordanze, A Silvia, solo per citarne alcune) ed egli esplicita le sue speranze vane. Come ad ogni uomo, non gli mancava affatto quell'infinito desiderio di felicità, o piacere; e spesso si avverte la nostalgia per ciò che la giovinezza non gli ha riservato o da cui egli stesso ha preso le distanze, come sembra dirci nel Passero solitario.

Ma torniamo al Natale; ho spesso riflettuto, come chissà quanti altri di noi, sui lunghi pomeriggi che fanno seguito al pranzo di Natale, con gli ospiti ancora attorno al tavolo, sazi, un po' annoiati e pure assonnati: quasi in imbarazzo. Il Natale è finito: ppassata la S.Messa di Mezzanotte, e anche quella del mattino, sfasciati e ammirati i regali, consumato il pranzo. Le mamme spesso non percepiscono, o sentono un po' meno, questa atmosfera, in quanto intente ai piatti, etc. I bambini sono passabilmente impegnati con i nuovi giochi dei quali ben presto si annoiano. Direi che noia, tedio, desiderio di far passare presto le ore siano la quintessenza dei nostri pomeriggi natalizi. 

La mia immancabile rimembranza, mi porta ai Natali  vissuti nell'infanzia, tra i sette e gli undici-dodici anni; poca cosa, ma quanto appaiono lunghi, a quell'età. Dopo il panettone che non mi piaceva per via degli allora onnipresenti canditi, dopo il goccio di spumante altrettanto poco gradito (eresia: persino il moscato!) , dopo i cioccolatini e il conseguente appallottolamento della carta stagnola, con la quale confezionavo anellini, mi recavo in una stanza chiamata cameretta, ma che cameretta non era in realtà, e ansiosamente mi affrettavo a giocare con i nuovi giochi. Dico ansiosamente in quanto, di lì a poco, i più bei giocattoli ricevuti il giorno stesso mi sarebbero stati sottratti per consegnarli alla persona, allora piccola, che si incapricciava delle mie più belle bambole, mobili per la loro casetta, altri divertenti oggetti: un proiettore, una bilancina e un registratore di cassa in miniatura, gli scaffalini per il mini-supermercato (ossimoro!). Tutto ciò, come semplice ricordo. 

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