mercoledì 28 settembre 2022

 Porcellini delle Indie ed esplorazioni geografiche

Il mercante-esploratore Michele da Cuneo, compagno di viaggio di Colombo durante la seconda spedizione, si era recato nelle "Indie" per reperire nuovi prodotti da portare in Europa. Accanto ai frutti che, mangiati con gusto, spesso avevano conseguenze disastrose per Michele e per i suoi compagni, egli segnala la presenza di animali mai visti che chiama perros mudos, riguardo i quali afferma che venivano allevati all'interno delle capanne, ed erano trattati con molto riguardo, bene accuditi e ben nutriti. Queste creature non lo intenerirono ma, come fa spesso nella sua celebre Lettera, egli le osservò e descrisse in modo distaccato, esattamente come frutti ed alberi. In effetti, la Lettera presenta, in molte sue parti, la struttura di un inventario di quanto si poteva incontrare in quei luoghi, e portare via. 

Pertanto, i porcellini d'India sono citati, per la prima volta, alla fine del Quattrocento e non, come alcuni affermano, a metà Cinquecento. 

Nell'America centrale e meridionale venivano allevati con cura da millenni, e la loro sorte fosse sempre estremamente triste. Utilizzati nei riti sciamanici, se ne servivano i curanderos; erano insomma animali sacri, più volte rappresentati dagli artisti locali. 

Indubbia era la loro diffusione, una diffusione capillare, negli attuali Perù ed Ecuador ma, evidentemente erano presenti anche nelle Antille.

I poveri porcellini, o cavie, o cuy/cuyos, in Europa, non ebbero una sorte migliore rispetto ai loro compagni americani. Portati nel vecchio continente come curiosità esotica,  presto vennero utilizzati  come vittime sacrificali negli esperimenti. così il termine "cavia", originariamente indicante, nel Nuovo Mondo, queste creature,  ha esteso la propria area semantica, diventando triste metafora. Per questo preferisco chiamarli, più simpaticamente, "porcellini", "i miei porcellini".


 Porcellini d'India e letteratura

Ho visto più volte  un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno, ma che, a tutti i segnali, mostra di voler riuscire un galantuomo; l'ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d'India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimodoché, dopo essersi un po' impazientito, s'adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch'eran più vicini all'uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva. Un gioco simile ci convien fare co' nostri personaggi: ricoverata Lucia, siam corsi a don Rodrigo; e ora lo dobbiamo abbandonare, per andar dietro a Renzo, che avevam perduto di vista...

(A.Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 11)

Fantastici porcellini d'India, fantastico Manzoni...il complesso cap. XI, ricchissimo di passaggi, dialoghi tra personaggi che cambiano di scena in scena, ricco anche di commenti del narratore, ad un certo punto racchiude una perla della nostra letteratura, una rarità: vengono citati i porcellini d'India e il nipote che cerca, alla sera, di radunarli nel loro recinto ma, come ben sa chiunque abbia avuto a che fare -come me- con queste deliziose, indifese e ingenue creature, sono piuttosto veloci in quanto estremamente paurose, e la fuga è la loro unica difesa. Con difficoltà il piccolo futuro galantuomo li raduna, così come per l'autore sono notevoli le difficoltà nel tenere le fila di una narrazione, e lo credo bene, poiché non è semplice riuscire a raccogliere, in una trama articolata, a farsi capire dal lettore.

Ma com'erano questi porcellini? Penso ai porcellini con i quali giocava mio padre, piccoli animali domestici, piccole vittime destinate alla tavola, allora, come attualmente nell'America Latina, dove è una tradizione talmente radicata che sarà dura a morire (eppure è una forma di crudeltà orribile, che riempie di sdegno). Forse come, purtroppo, i coniglietti sono da noi considerati ancora animali da carne (non ci sono parole). i cuy dellì'America Latina sono di dimensioni maggiori rispetto ai nostri. Senz'altro alimentati con tutto ciò che non dobbiamo dare ai nostri amati porcellini, ossia cereali, semi, magari pane...in vista di ucciderli quando raggiungono i tre-quattro mesi, esattamente come i coniglietti qui da noi. E' chiaro che, nelle campagne dei primi decenni del Novecento e naturalmente anche prima, non esisteva quella sensibilità verso gli anbimali e la loro vita; forse per mucche e cavalli, altamente utili, ai quali si finiva per affezionarsi, per cui non pochi sono i contadini che compaiono nella letteratura e che vengono pianti amaramente, alla loro morte. Ce ne sono innumerevoli esempi, ma tanto per citarne uno, cercate l'episodio ne La terra di E.Zola. Penso tuttavia che i bambini soffrissero nel veder ammazzare povere creature a cui si erano affezionati, come piccoli pastorelli, appunto, e che in seguito vi fosse un'assuefazione purtroppo comprensibile.

martedì 27 settembre 2022

 Stupiamoci con Odi e Inni  di Pascoli


Considerando che amo tanto le Myricae , certamente molto conosciute ma che sono un exemplum delle straordinarie innovazioni di Pascoli sul piano linguistico-stilistico, e che pertanto ci regalano continue scoperte, ogni volta che le rileggiamo, ero invece incerta se leggere o meno Odi e Inni, in quanto temevo una sorta di deriva verso tonalità più legate alla tradizione letteraria e al passato. Mi sono fatta coraggio, e ho iniziato la lettura. E' sorprendente, invece, il continuo riflettersi, in questi componimenti, della cronaca del tempo, l'età post-unitaria, la belle époque. Sembrerà strano, ma grazie a Pascoli ho incontrato idealmente la famosa Sissi, o Principessa Elisabetta, che non mi ha mai destato interesse; tuttavia, dopo la lettura di un'ode ispirata a un avvenimento di cronaca, ho voluto conoscere di più sulla vita di  questo personaggio. Il titolo dell'Ode è Nel carcere di Ginevra,  e il protagonista viene nominato solo nell'ultimo verso, dove il poeta si rivolge a  Lucheni, l'assassino dell'infelice principessa. Sorprende lo stile, il mistero sempre presente della vita e del destino di ogni uomo, sempre presente nella produzione pascoliana. Lucheni, come la principessa, era un' infelice: abbandonato piccolissimo dalla madre, che lo aveva partorito in Francia nel 1873, fu portato in Italia, a Parma, nell'ospizio dei trovatelli, dove evidentemente fu maltrattato, come accadeva in tutti i luoghi di questo tipo -penso- soprattutto dove la gestione era affidata alle onnipresenti suore. Fu quindi adottato, trasmigrò infelicemente da una famiglia all'altra; successivamente partì e attraversò diversi Paesi, sino a quando, tornato in Italia, prestò il servizio militare. Nel frattempo, si interessò (superficialmente) all'anarchia, aderendo a questa idea, più per rivalsa verso i benestanti e i ricchi, per vendicare la propria infanzia maltrattata e -dice- quella di tutti i bambini poveri e abbandonati. Desideroso di compiere un'azione crudele e memorabile, con la quale -disse- aveva l'intenzione di punire i ricchi e vendicare  poveri e  sfruttati, nel 1898, lungo una strada di Ginevra che portava al lago, pugnalò una signora vestita a lutto, col viso nascosto da una veletta nera. La uccise, ritenendo che si trattasse di una donna ricca e felice. Sissi, come in seguito scoprì Lucheni, era invece infelicissima e malata, soprattutto dopo la morte del figlio Rodolfo. L'assassino venne incarcerato: le foto lo ritraggono mentre procede trattenuto da due guardie: e Lucheni sorride, di un sorriso strano e forzato.

 Sorprendente Piccolo mondo antico! Suscita emozioni indefinibili, come lo sono certe atmosfere del libro, forse un senso di nostalgia verso quel mondo. Da parte mia, come se lo avessi vissuto, come se mi mancasse perdutamente il mondo che evidentemente precedeva i tempi di Fogazzaro: nostalgico anche lui, verso una società definitivamente perduta: quella avanti l'unità d'Italia. Le relazioni tra persone semplici e buone, talune astute, qualcuna assolutamente malvagia, mi hanno emozionata. Indimenticabile la scena del lago sotto il vento e il temporale, con la buona e ingenua Sciora Barborin e il marito scaltro e piuttosto ignobile verso la moglie. Ho amato il paesaggio del lago, grigio, minaccioso, plumbeo, e il cielo greve. Ho amato la tempesta sulle acque, le rocce, i paesini addossati alle montagne all'intorno. Temevo che tutto fosse cambiato, ma dalle immagini che ho consultato - come ogni volta che leggo un romanzo dove mi appaiono i nomi di paesi, monti, città...- mi sono ricreduta, riguardo i luoghi affacciati al lago di Lugano. Tutto è rimasto simile, come descritto da Fogazzaro. Da piccola avevo letto questo libro, ma non mi aveva suscitato troppo interesse, anche perché la contrastata storia d'amore tra i due sposi sembra un poco tiepida, forse per la freddezza di Luisa, e l'ambiguità di Franco. E' chiaro che la percezione di una trama cambia, dalla prima adolescenza all'età adulta. L'avevo riletto anni dopo, apprezzando la storia; questa volta ho approfondito il contorno, l'ambiente, il tono dei colloqui, la presenza austriaca, l'autentico patriottismo. Arrivata al momento in cui compare la barchetta metallica portata dall'infelice quanto fatale signora Barborin all' Ombretta, avrei preferito saltare alcune pagine; la fatalità, la coincidenza tra la volontà di Luisa di dire il fatto suo all'odiosa nonna di Franco e la morte per annegamento della bimba (lasciata incustodita e impaziente di mettere la barchetta sulla superficie del lago, è impressionante, lascia col fiato sospeso, magari lo si può immaginare, ma speri sempre che non accada. E il senso di colpa della madre, il rifiuto della morte dell'Ombretta e la rinuncia ad altri figli, rinuncia poi disattesa, e anche qui il lettore rimane in sospeso, e spera che la donna ceda al marito, che forse la vedrà per l'ultima volta. Durante la lettura, è impossibile non affezionarsi al buon Zio Pietro e  non sperare che sia immortale, come tutte le persone che amiamo di più.

                                                Un'edizione dei primi anni del Novecento



La villa Fogazzaro, cui si ispira la casa di Franco e Luisa


Il film del 1941

lunedì 26 settembre 2022

 

G.Leopardi, L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani        5
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce            10
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.    

Lo sappiamo tutti che L'infinito è forse la poesia più nota della letteratura italiana, così come infiniti sono i commenti di questa poesia che s'immerge insieme al suo Autore in una dimensione sublime, dove l'essere, il presente, va disfacendosi in un infinito oceano di bellezza. Il carattere di sublimità viene raggiunto all'improvviso, dopo le parole dell'infinito spaziale e temporale, concetti inimmaginabili dalla finitezza umana, che vanificano il tentativo del poeta di ricostruirli in una sua  visione, proprio nel momento in cui stava per fingersi, nel pensiero,  gli interminati spazi, i sovrumani silenzi, la quiete profondissima ed estranea al mondo, alla vita dell'uomo.  E proprio l'attributo sovrumani fa comprendere la difficoltà, anzi l'impossibilità di immaginare quello spazio e quel tempo immoto, immerso nel mistero e nell'assoluto silenzio, in quanto la visione fantastica, suscitata da ciò che non gli consente di spingere il proprio sguardo sino all'orizzonte, va oltre i confini sensoriali, e crea in lui quel senso di smarrimento che, come una vertigine, lo rapisce con la sua bellezza e con l'inquietudine che determina in lui. Propongo, affinché percepiate anche voi quella forza arcana e annientante che cattura il poeta in un vortice da cui non vorrebbe più allontanarsi, di chiudere gli occhi, e immaginare le stelle del cielo in una notte limpida e pensare sino a dove diffondano la loro presenza, aggregandosi in corpi celesti irraggiungibili che nascono e muoiono nell'immensità del cielo silenzioso che si perde nell'universo illimitato. E il cielo, ha confini? Difficile immaginarlo senza perdersi, e non trovare più quel filo sottile che si scioglie nello sconfinato spazio. Ecco, qui abbiamo l'esperienza del sublime, che Leopardi ha provato a illustrare ma vi si è perso, in un mare profondo che attrae e porta via.


giovedì 8 settembre 2022

 

Quando i biscotti erano buoni

...e spesso non lo sono più. Non è che un tempo noi boomer percepissimo i gusti in altro modo, per una sorta di magia legata all'infanzia e alla cosiddetta "Fata dei Biscottini".  Erano veramente più buoni, perché, forse, gli ingredienti, gli aromi, magari non "naturali", erano diversi, più accattivamti e croccanti, forse perché c'erano tanti bei premi, nulla a che vedere con quelli di oggi. Direte "Ma i Bastogne esistono ancora! Già. Peccato che siano rari i negozi in cui si possono trovare. 
Be', se i Bastogne fanno ancora la loro splendida figura nelle vetrine di alcune torrefazioni , non si può dire lo stesso per i favolosi (letteralmente...ormai nel mondo delle favole) Bel Bon, quei biscotti rotondi,  con i margini che li rendevano simili a tanti soli. I Bel Bon non esistono veramente più, sono fuori produzione, purtroppo. Molti di voi, tuttavia, ricorderanno la soddisfazione che si provava nel mordere, per prima cosa, quella squisita cornice con tante piccole punte. Buoni nel latte e nel té. 


                                                          Il "Bel Bon". Pubblicità della seconda metà anni '70.

Qualcuno ricorda questa mitica pubblicità? Era anche sulle pagine di Topolino, e riprendeva lo spot del Carosello.
Ma tornando ai Bastogne, dopo tanti anni ho scoperto che l'ingrediente che conferiva loro quel gusto così particolare altro non era che lo Zenzero, allora usato pochissimo in cucina, a differenza di oggi.
Direte che esistono altri biscotti allo zenzero, e si possono trovare facilmente anche nel reparto degli alimenti in certi notissimi grandi magazzini dedicati ai mobili. Inoltre, ci sono anche quei biscottini rettangolari, di piccole dimensione, che offrono col caffé, il cosiddetto "Biscottino di Cortesia", e non solo, anche in molti supermercati. Eppure, quei piccoli biscotti sottili, non avendo la stessa spessa consistenza dei Bastogne, non offrono al palato la medesima soddisfazione.


mercoledì 7 settembre 2022


Ancora sulla Luna...

 Mi piacerebbe raccontare della mia dolce Luna, e, tanto per farvi capire quale fosse il nostro rapporto, dirò semplicemente che era una figlia, una sorelle, talvolta una madre. Quando la portai a casa, non era in grado di saltare sul letto; eppure aveva cinque mesi: questo significa che la sua vita era, sino a quel momento, trascorsa in una gabbia, penso, o in qualche altro spazio nel quale non poteva muoversi. Aveva molta paura: camminava rasente ai muri di casa, cercando di essere invisibile. Poi tutto questo finì, e la mia Luna divenne espansiva, sicura di sé e, certamente, molto felice. Era la mia compagnia nei momenti di studio in preparazione dei concorsi, o quando componevo qualcosa. Il pc aveva allora un enorme monitor, e lei, talvolta, se ne stava lì sopra, tranquilla come su un canapé. La prima gatta non si scorda mai, anche se poi non ho potuto fare a meno di accogliere un altro micino, ma questa è un'altra storia.

                                                                       La dolce Luna, all'età di circa nove anni

La Luna morì dopo una malattia per la quale era stata operata; l'intervento le consentì di vivere ancora per qualche tempo, sempre serena, sempre vicina a me. Io le dicevo "Luna, fammi vedere come sei bella! Oh...ma come siamo belle..." (il tono era sempre lo stesso, modulato appositamente). Allora, lei girava graziosamente su se stessa, tipo alle sfilate di moda. Continuò a fare questo, su mia richiesta, sino a poco tempo prima di lasciarmi. Negli ultimi giorni della sua vita, era tanto, tanto magra, debole, e tuttavia mi seguiva instancabile ovunque andassi. L'ultima sera, non mancò di venirmi incontro, sul letto, facendo le sue fusa inconfondibili, e con la coda alta.  Così come, l'indomani, nel momento in cui era sul punto di andar via, mi salutò con un sommesso ron ron. 

martedì 6 settembre 2022

Storia di Luna

 Quando, dopo giorni, finalmente me la portarono, rimasi incredula: doveva essere un gattino persiano, rosso di pelo. Avevo scelto di prendere con me un persiano, perché le mie conoscenze personali si esaurivano con questa tipologia, pelosa e tranquilla. Il gatto, chiuso in una vecchia gabbia, era stato completamente rasato, tranne sulla coda, miracolosamente intatta. Così, le zampine apparivano innaturalmente lunghe, per un persiano. Il colore, ricordava un'albicocchina chiara, e la pelle traspariva rosea sotto quel povero pelo portato a zero. Domandai, cinicamente,se quello fosse effettivamente il mio persiano. Il signore in questione non solo confermò, facendomi ammirare la coda della povera creatura, ma aggiunse che si trattava della figlia di un campione. Ovviamente non m'importava nulla del padre blasonato, e osservavo, invece, alcune escoriazioni sul dorso della gattina, dovute senz'altro a una rasatura maldestra e sbrigativa. Realizzai che la cucciola, evidentemente piena di nodi inestricabili, era stata lavata e tosata quella stessa mattina. Aperta la gabbia, la terrorizzata persianina mi volò letteralmente tra le braccia, e si aggrappò alla mia maglietta. Intuiva che l'avrei salvata?

Una bella classetta (racconto)

  Una bella classetta tutta di femmine Dai tempi dell'asilo sino al termine della scuola media, Agata dovette frequentare una scuola di...