lunedì 26 settembre 2022

 

G.Leopardi, L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani        5
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento

Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce            10
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa

Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.    

Lo sappiamo tutti che L'infinito è forse la poesia più nota della letteratura italiana, così come infiniti sono i commenti di questa poesia che s'immerge insieme al suo Autore in una dimensione sublime, dove l'essere, il presente, va disfacendosi in un infinito oceano di bellezza. Il carattere di sublimità viene raggiunto all'improvviso, dopo le parole dell'infinito spaziale e temporale, concetti inimmaginabili dalla finitezza umana, che vanificano il tentativo del poeta di ricostruirli in una sua  visione, proprio nel momento in cui stava per fingersi, nel pensiero,  gli interminati spazi, i sovrumani silenzi, la quiete profondissima ed estranea al mondo, alla vita dell'uomo.  E proprio l'attributo sovrumani fa comprendere la difficoltà, anzi l'impossibilità di immaginare quello spazio e quel tempo immoto, immerso nel mistero e nell'assoluto silenzio, in quanto la visione fantastica, suscitata da ciò che non gli consente di spingere il proprio sguardo sino all'orizzonte, va oltre i confini sensoriali, e crea in lui quel senso di smarrimento che, come una vertigine, lo rapisce con la sua bellezza e con l'inquietudine che determina in lui. Propongo, affinché percepiate anche voi quella forza arcana e annientante che cattura il poeta in un vortice da cui non vorrebbe più allontanarsi, di chiudere gli occhi, e immaginare le stelle del cielo in una notte limpida e pensare sino a dove diffondano la loro presenza, aggregandosi in corpi celesti irraggiungibili che nascono e muoiono nell'immensità del cielo silenzioso che si perde nell'universo illimitato. E il cielo, ha confini? Difficile immaginarlo senza perdersi, e non trovare più quel filo sottile che si scioglie nello sconfinato spazio. Ecco, qui abbiamo l'esperienza del sublime, che Leopardi ha provato a illustrare ma vi si è perso, in un mare profondo che attrae e porta via.


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