sabato 7 ottobre 2023

Zola Vertigo

 ZOLA VERTIGO

Quanto scritto un po' di tempo fa, riguardava alcuni tra i romanzi di Zola, di argomenti tra loro diversissimi, ma connotati da quell'ombra, più o meno intensa, di serpeggiante follia ereditata dall'antenata Adelaide Fouque. Un elemento per lo più costante è, spesso in più passi del romanzo, un accumulo straordinario di oggetti, o persone, o emozioni che creano nel lettore un senso di ansia, di impotenza di fronte all'eccesso tanto amato dal nostro autore. Prendiamo Nanà: fin dall'inizio, un tale turbinio di personaggi, che è facile per il lettore confondere le caratteristiche di ciascuno. Anche perché si tratta, comunque, di personaggi abbastanza simili, partecipi come sono della vita mondana di un teatro di varietà, dove recitano attricette e attori d'infimo ordine. Tutti loro, gravitano attorno a quel centro d'attrazione che, nel bene o nel male, è sempre Nanà. Forse è superfluo ricordare ai miei lettori questo personaggio, così ben riuscito che il romanzo in cui lei è protagonista è uno dei più noti, insieme all'Assommoir, come dimostra il fatto che sono quelli più presenti in traduzione, laddove altri sono molto rari, sul mercato. Nanà è figlia dell'infelice Gervaise e dell'ambiguo Coupeau. I suoi "fratellastri" (in quanto nati da sua madre e dal perfido Lantier) sono rispettivamente Claude ed Etienne; se il germe dell'ubriachezza e della follia cova nei due maschi, altre sono le tendenze e i vizi di Anne, detta appunto Nanà. Ragazzina, aiuta la zia a confezionare fiori artificiali; ma il suo fisico prorompente le consente ben altra carriera: a 18 anni, mediocrissima cantante, attira folle di uomini giovani e attempati, per le sue curve generose che esibisce con altrettanta prodigalità. Il capocomico, un omaccio emblematico per volgarità, rozzezza, ignoranza e sensualità portate alle estreme conseguenze, le offre il palcoscenico (di cui diventerà regina) ed un pubblico enorme, smisurato; e qui inizia il senso di vertigine di cui si parlava, determinato da una sterminata folla di ammiratori che vanno e vengono, entrano ed escono, talora soddisfatti talora no, dal camerino dell'attricetta o dalla sua (lussuosa) casa. Presenze innumerevoli che affollano le sue stanze pacchiane, cercando, spesso invano, un posticino, un angolino, un sottoscala in cui sostare in attesa che la diciottenne si liberi dagli impegni a raffica che caratterizzano le sue giornate, prima di salire sul palco. Uomini di ogni età, da adolescenti poco più che bambini a vecchi banchieri e nobili dalle tasche accomodanti. Questa è Nanà, e il vortice di cui sopra sono le sue ore, le sue giornate turbolente, piene di uomini, fiori, biglietti, regali.  

Ma l'accumulo maniacale e quasi folle - utilizzato tuttavia con una tale perizia, con un tale virtuosismo che si trasforma in una policroma sinfonia - il proliferare pauroso, talvolta interrotto, e poi ripreso con rinnovata energia, di oggetti, colori, sensazioni che il lettore vive attraverso la percezione diretta, il coinvolgimento docile e inevitabile di tutti i sensi, a tal punto da attendere con ansia, pagina dopo pagina, le sontuose teorie di immagini che non danno tregua - lo trovate ne Il ventre di Parigi. Qui, la tensione descrittiva, cumulativa, è suprema: sono le verdure, i fiori, i frutti, i formaggi, i pesci e tanta, tanta carne, e tanta, tanta pinguedine, tanto grasso che deborda dalle pentole, dai personaggi, che invade le stanze, le pagine, e che sazia il lettore; sono loro il connettivo, la sostanza del romanzo. Gli elenchi infiniti di ortaggi, solo per fare un esempio, si materializzano, diventano palpabili, e soprattutto il loro colore - nelle diverse condizioni di luce - attrae, ipnotizza il lettore che attende altre montagne di frutta, di verdura, di qualsiasi cosa abbia quella magia che crea, dal nulla, un intreccio intenso e inesplicabile che coinvolge i tutti sensi. E noi ammiriamo tanta perizia, e non senza curiosità incontriamo l'artista ribelle Claude Lantier (successivamente protagonista de L'opera) che da quelle Halles, affollatissime di forme e di colori, è affascinato, è stregato. E mentre accompagna l'infelice, affamato, magro e dissonante Florent, deplora con violenza la stupidità, la cecità dei suoi tempi, dove tutto sta cambiando con una rapidità vertiginosa, mentre i placidi accademici continuano a veleggiare sulle onde pacifiche, quanto illusorie, della tradizione pittorica, così dissonante di fronte alla realtà giovane e dirompente della nuova pittura.

Nessun commento:

Posta un commento

Una bella classetta (racconto)

  Una bella classetta tutta di femmine Dai tempi dell'asilo sino al termine della scuola media, Agata dovette frequentare una scuola di...