lunedì 31 ottobre 2022

G.Pascoli, il giorno dei morti (Santi4)

 IL GIORNO DEI MORTI


Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),
vedo nel cuore, vedo un camposanto
3con un fosco cipresso alto sul muro.

E quel cipresso fumido si scaglia
allo scirocco: a ora a ora in pianto
6sciogliesi l’infinita nuvolaglia.

O casa di mia gente, unica e mesta,
o casa di mio padre, unica e muta,
9dove l’inonda e muove la tempesta;

Non è certo l'unica poesia in cui troviamo tratteggiato un camposanto, ma qui assume tinte un po' forti, dove non vi è soltanto tristezza, o malinconia, o nostalgia verso chi non c'è più. Il paesaggio ricordo la poesia sepolcrale. L'aldilà lo attrae e lo spaventa.  Il camposanto è tuttavia la casa della sua famiglia.


(...)

o camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
12oggi ti vedo tutto sempiterni

e crisantemi. A ogni croce roggia
pende come abbracciata una ghirlanda
15donde gocciano lagrime di pioggia.

Sibila tra la festa lagrimosa
una folata, e tutto agita e sbanda.
18Sazio ogni morto di memorie, posa.


Le ghirlande aggrappate alle croci sono grevi di pioggia, ma la pioggia, nel camposanto, è fatta di lacrime. Anche la festa è "lagrimosa", poiché si tratta del giorno in cui si commemorano i Defunti. Sulle povere tombe imperversa il vento, che scuote senza pietà le funebri corone  grondanti. E questi morti, in che senso sono "sazi"? Forse di vita, alla quale non sono strappato troppo presto, come invece è accaduto ai familiari di Pascoli: i quali, invece, non cessano di formare una cerchia stretta in un  lugubre abbraccio. I familiari di Pascoli, anche in morte stanno vicini, stretti, uniti come dev'essere una famiglia, stretti come gli uccelli nel nido. Così non temono il cipresso che "geme" lugubre sotto i colpi del vento e della pioggia. L'amore reciproco sembra vincere le intemperie, ed essi si sentono come attorno al focolare di casa. Il vincolo familiare ininterrotto permette loro di non temere nulla. La famiglia è la forza, ci ricorda il poeta .


Non i miei morti. Stretti tutti insieme,

insieme tutta la famiglia morta,

sotto il cipresso fumido che geme,


stretti così come altre sere al foco

(urtava, come un povero, alla porta

il tramontano con brontolìo roco)


piangono. La pupilla umida e pia

ricerca gli altri visi a uno a uno

e forma un’altra lagrima per via.


Piangono, e quando un grido ch’esce stretto

in un sospiro, mormora, Nessuno!...

cupo rompe un singulto lor dal petto.


Levano bianche mani a bianchi volti,

non altri, udendo il pianto disusato,

sollevi il capo attonito ed ascolti.


Posa ogni morto; e nel suo sonno culla

qualche figlio de’ figli, ancor non nato.

Nessuno! i morti miei gemono: nulla!


I poveri morti di Pascoli non hanno timore di nulla, ma - come il poeta - piangono un pianto incoercibile: piangono la propria sorte, ma fanno rivivere abitudini familiari, come quando cullano figli e nipoti non nati.




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