Pascoli: L'aquilone, ovvero la fortuna di rimanere per sempre piccoli
Meravigliosa poesia che leggiamo nei Primi Poemetti, L'aquilone si soleva far studiare diligentemente a memoria; nonostante il mio disaccordo nei confronti dell'imposizione dello studio mnemonico dei testi poetici, devo riconoscere che molte persone della mia età, o anche più giovani o più grandi, si compiacciono molto nel ricordarla e nel recitare i primi versi. Io la propongo sotto un aspetto che mi interessa particolarmente: quello dei giochi. I bimbi, tra cui il nostro poeta, al risveglio nei giorni in cui non c'era lezione, potevano, liberamente, giocare; se faceva bello, si recavano nei prati circostanti, forse guidati da un maestro, forse non seguiti: la loro felicità si libera un po' selvaggia, tra siepi ancora rosseggianti di bacche (era ottobre, o comunque era autunno, e non faceva ancora freddo: solo un bel vento e il cielo turchino). Immaginiamo i bimbi che saltellano tra i fiori, portando un aquilone. Quando finalmente un soffio di vento sembra strappare da una piccola mano il filo, ecco un urlo di gioia; stenta un po' a innalzarsi, quel gioco di fragile carta colorata, ma poi si leva in alto. Il bimbo dell'aquilone non avrà fortuna, e la mammalo piangerà tanto, dopo averlo composto per l'ultima volta nel suo lettino ed aver pettinato piano, per non fargli male, i capelli biondi. Pascoli, adulto, ricordando il giorno libero e lieto dell'aquilone e il piccolo compagno di collegio, ritiene fortunata la morte, se in giovanissima età, quando ancora l'interesse è concentrato - in questo caso - sul balocco che si stringe al cuore, prezioso.
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda (...)
senza aver visto cadere altro che gli aquiloni, piuttosto che dopo l'immersione nella sofferenza adulta, dopo aver visto non solo morire i propri cari, ma anche la progressiva caduta dell'umanità tutta nel male, osservata con dolore dallo stesso cielo, colorato di aquiloni in volo in quell'occasione, ma piangente lacrime di stelle - anch'esse un pulviscolo - di fronte alla cattiveria, alla violenza (vedi, ad esempio, X agosto, Il bolide, Il ciocco, etc. Anche l'aquilone è una cometa, una stella cadente - in fondo - che non fa male.
L'inconsapevolezza è la condizione a cui vorrebbe abbandonarsi il poeta; quel pettine che la madre del piccolo morto passa delicatamente sui suoi capelli, Pascoli avrebbe voluto sentirlo su di sé fanciullo, tra le carezze della propria madre.
Infine, vorrei che notaste un'immagine di splendida, trasparente libertà: Urbino ventoso...
Nessun commento:
Posta un commento