Belli 1
Come, dalla Carità Romana, mi nacque un'autentica passione per Gioacchino Belli
Tempo addietro, fui costretta a recensire uno di quei saggi inutili quanto illeggibili che pubblicano certe facoltà universitarie; uno di quei libri che finirà nella cartaccia, al macero, e diverrà utile quando sarà stata mutata in fazzoletti di carta ecologicamente riciclata. Eppure, quel saggio, per una o due delle sue pagine salvabili, mi è servito! Se non altro, per farmi delle risate; e non è poco.
Il saggio in questione, dunque, esaminava la Carità Romana nelle sue rappresentazioni, attraverso il tempo. Così, dal celebre racconto di Valerio Massimo, attraverso i secoli, ecco che appare, come un'oasi tra spietate sabbie ardenti, il godibilissimo sonetto di Gioacchino Belli:
Un quadro bbuffo
Chi è sto bbrutto vecchio caccoloso,
che in logo de stà in pasce in zepportura,
succhia co la bboccaccia er caporello
de cuella donna, come una cratura?
Chì è sta vacca che nnun ha ppavura
de dà er latte a cquer po’ dde bbambinello,
che ppare er Merdoccheo de la Scrittura,
o, cquanno nun è llui, pare er fratello? La Carità Romana di Artemisia Gentileschi, 1643
A mmé ppuro me piasce sto succhietto;
ma ppe cquanto me spremo in comprimenti,
ggnisuna bbalia vo attaccamme ar petto.
Cuello averà ccent’anni, io nnun n’ho vventi
er zuo sta bbasso, e ’r mio sarta sur tetto:
duncue? sarà er motivo de li denti.
La Carità Romana di Pierpaolo Rubens, 1620
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