martedì 25 luglio 2023

 Meteore e formiche (Il ciocco e il bolide)

...un lampo, uno scoppio...ecco scoppiare

e brillare, cadere, esser caduto

dall'infinito tremolio stellare,

un globo d'oro, che si tuffò muto 

nelle campagne...

Il Bolide, come Il Ciocco, fa parte dei Canti di Castelvecchio, dove io riscontro più forte, nel nostro Giovanni Pascoli, il senso di precarietà, piccolezza, nullità dell'uomo e del mondo. Questa percezione, anticipata in Myricae, qui si fa più intensa: e la paura del Bolide minaccioso quanto di natura ignota, viene idealmente comunicata forse ai morti, forse alla campagna; ma innanzitutto alla madre:: 

...Lì presso il camposanto,

accorrerebbe la mia madre in pianto.

Mi sfiorerebbe appena con le dita:

le sue lagrime, come una rugiada

nell'ombra, sentirei sulla ferita (...)

(...) dove tu sorridi

eternamente sopra il tuo giaciglio

fatto di muschi e d'erbe, come i nidi


E nel frattempo, il misterioso bolide 

  (...) si tuffò muto nelle campagne, 

come in nebbie vane,

vano (...)

Attorno a lui, nessun vivente a cui comunicare il proprio smarrimento: 

(...) Vedeste?

Ma non v'era che il cielo alto e sereno (...)

Cielo e non altro: il cupo cielo (...)

(...) il cielo, in cui sommerso

mi parve quanto mi parea terreno.

L' insignificanza dell'uomo nell'universo, per cui la Terra è solo una stella tra le stelle, fa tremare il poeta che, isolato nel silenzio deserto della notte, non trova nel Cielo un interlocutore, com'era stato in X Agosto (E tu, Cielo, dall'alto dei mondi infinito immortale...).


Il ciocco è un poemetto, dove un pezzo di legno da ardere viene gettato nel caminetto, mentre una famiglia di contadini si appresta a consumare la cena. Il capofamiglia, il babbo, versa da bere ai familiari, fuorchè ai più giovani, che ne assaggiano un goccio dal bicchiere della mamma (così si usava anche nella famiglia del poeta? Il gesto di bere dal bicchiere della mamma ha un che di affettuoso). Il vino viene versato dal babbo esperto:

piano piano,

 perché non croccolasse.

La luce delle stelle, meravigliosamente intensa nel buio della campagna, viene scambiata per un incendio:

Non c'era nella notte altro splendore

che di lontane costellazioni

Dalle lontane costellazioni, infinitamente grandi e misteriose,  al mondo minuscolo delle formiche: dal tronco tagliato della quercia, cui apparteneva il ciocco, la vita aveva continuato imperterrita il suo corso:

e un'altra vita brulicò nel legno

che intarmoliva: un popolo infinito

che ben sapeva l'ordine e la legge,

vi impresse i solchi di città ben fatte.

 miriadi le formiche, che come gli antichi greci costruivano città ben fatte, dove oltre l'ordine, la legge e l'operosità senza limiti, non mancavano i più teneri affetti familiari e il rispetto per i morti:

e chi dentro allevava i dolci figli

e chi portava i cari morti fuori. 

Ma il mondo operoso, instancabile delle formiche viene scalzato via, devastato, fatto a pezzi da altri colpi d'accetta, per ricavarne dei ciocchi. Quelle creature, la cui vita si risolve in un anno, andarono in parte a ricongiungersi col Tutto, ma una parte continuò a vivere in un ciocco:

E chi faceva nuove case ai nuovi,

e chi per tempo rimettea la roba,

e chi dentro allevava i dolci figli, 

e chi portava i cari morti fuori.

Tutto come prima: il popolo  delle formiche infaticabili aveva proseguito coraggiosamente la propria vita, finché quel ciocco non fu buttato ad ardere; e il poeta esprime la sorte maligna e crudele che si abbatte sui tenaci abitatori: il fuoco divora mille madri in fuga, che corrono disperate pei muschi della scorza arsita, portando con sé i figli, ma il fuoco le sorbiva con un breve crepito. E' terribile quel verbo, sorbiva, riferito al fuoco spietato, distruttore, impassibile. Ma gli uomini e le cose ignorano il dramma del piccolo popolo. Il poeta si fa interprete del dolore e della paura delle formiche, che vedono le donne come gigantesse filatrici e, soprattutto, i mostri che reggean concavi laghi di sangue ardente.

La pietà del poeta che si fa piccolo, che osserva con lo sguardo terrorizzato delle formiche gli uomini e le donne che nulla sanno del loro dramma, identifica l'insignificante presenza dell'uomo nel cosmo con le misere formiche divorate dal fuoco con case e figli. La Terra non è altro che un minuscolo ciocco, e gli uomini uno spolverio di moscerini,  attorno alla lanterna che un bimbo trasporta nell'oscurità della campagna.

Illusoria è la pace che sembra regnare nel cielo immenso, tra le costellazioni:

La, dove i mondi sembrano con lenti passi,

come concorde immensa mandra,

pascere il fior dell'etere pian piano

è tutto un susseguirsi di crolli, di stelle in fuga, le quali a loro volta non sono se non insignificante polvere del cielo, mentre la guerra urania prosegue senza sosta, e proseguirà finchè

(...) i mondi,

fatti più densi dal cader dei mondi,

stringan le vene, e succhino d'intorno

e in sé serrino ogni atomo di vita.

E quando terminerà la guerra tra stelle e stelle, tra monde e mondi,  allora sarà la morte del cosmo

E nel silenzio, tutto avrà riposo 

dalle sue morti, e ciò sarà la morte.

E l'Universo sarà una cripta di morti astri, di mille fossili mondi, un sepolcreto dove giacerà il gran Tutto.

Ma finché la Terra avrà vita, potrà subire catastrofi inimmaginabili, e con essa gli uomini, miseri abitatori di quel ciocco  sperduto nell'Universo, anzi: un grano  nei granai del cielo, incessantemente minacciato, ora da una vagabonda mole, ora da una rossa meteora.  

L'anima dell'uomo, l'anima del poeta è un fanciulletto mesto, un fanciulletto malato, che ha bisogno di sentire attorno a sé il respiro della mamma, i rumori della casa e della strada, un suono di campane. L'anima fanciulla è terrorizzata dal silenzio, eppure non può sottrarsi al pensiero della fine del mondo, della fine dei mondi, dei Soli, dei Pianeti. Forse il poeta auspica una vita oltre la vita, una vita oltre la morte della Terra:

morire, si; ma che si viva ancora

intorno al suo gran sonno, al suo profondo

oblio (...)


E, mentre il ciocco continua ad ardere,  il contadino sapiente, che osserva il cielo e prevede quale sarà il tempo, e pensa ai lavori che lo attendono l'indomani: è tranquillo, anzi, è lieto, prevedendo la pioggia: l'estate di San Martino è durata abbastanza, ed ora i campi hanno proprio bisogno della pioggia; così, va a riposare contento, immaginando che l'indomani mattina lo sveglierà lo scrosciare dell'acqua. Le stelle sono per lui la Chioccetta e i Mercanti, presenze amiche della cara vita cui nutrisce il pane.




Nessun commento:

Posta un commento

Una bella classetta (racconto)

  Una bella classetta tutta di femmine Dai tempi dell'asilo sino al termine della scuola media, Agata dovette frequentare una scuola di...